domenica 9 agosto 2009
allunaggio
ci fu un tempo in cui tutto questo fu solo un meraviglioso sogno.
20 luglio 1969
Un bambino pedala sulla sua bici da cross in un viale deserto nella periferia di Titusville, indossa una magliettina blu con righine gialle orizzontali, pantaloncini rossi e scarpe da tennis sfondate.
Corre concentratissimo prendendo velocità, in fondo all'isolato allarga per aggredire la curva e poi riprende il percorso, al contrario, con la stessa attenzione. Sa dove allungare e dove spingere su i pedali per poi virare la traiettoria di nuovo per la curva, tutto questo in un loop agonistico tutto suo.
Il sole ha passato lo zenit da un paio d’ore ormai, dalle villette basse, bianche di gesso, arriva un solo suono, la voce metallica di un telecronista che con emozione segue gli scambi tra la base di Houston e l’equipaggio del piccolo modulo che ormai è quasi pronto per toccare il suolo lunare…
Il suolo lunare…
quante volte ha sentito pronunciare queste parole negli ultimi giorni...
fa uno strano effetto, una volta lo ha sognato come un mare di inchiostro fermo e insidioso,
poi ha provato ad immaginarlo vivo di una improbabile vegetazione dura, minerale.
Piante di strane stalattiti di ardesia e cespugli di cobalto dalle superfici cangianti e luminosissime.
Gli stessi colori che ha visto nel documentario proiettato a scuola, pochi giorni prima.
In quel caso si parlava di materie inossidabili ma lui se ne stava tranquillo in fondo all’aula conferenze e per tutto il tempo ha continuato a trasferire le immagini colorate di quelle pietre dure nel suo personalissimo scenario oscuro.
“sei ossessionato… cosa vuoi che sia? È un grosso sasso fermo in mezzo al cielo… non c’è nulla di interessante…”
“non è fermo…”
“cosa?”
“ il sasso, dico, il grosso sasso non è fermo…”
pronuncia queste parole ad occhi chiusi, mentre su un notes ferma alcune spirali, così, a caso.
“sta li per misurare le cose…”
“quali cose ?”
“tutto”
Ritornando da scuola quel giorno si sentiva eccitato, il piccolo modulo che appariva quasi di latta leggera, di quelle che si piegano con la pressione di due dita, tra poco sarebbe arrivato sul mare di inchiostro fermo, tra le stalattiti di ardesia e i fiori cangianti di pietre dure. Forse sarebbe finito inghiottito o forse rimbalzato. Gli venne in mente un frammento di un vecchissimo film visto per caso alla tele, una luna come una faccia imbronciata con un razzo incastrato in un occhio.
Magari lo scatolo modulare di latta si incastrerà… e l’occhio della luna perderà lacrime d’argento
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